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Imparare ad Amare ( Yoga Reiki Studio Gayatri Monza natyan )

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Messaggio Da natyan27 Mar Lug 21, 2015 5:12 pm

IL MIRACOLO DI ESISTERE Vol Due
Dialoghi con natyan

Capitolo tre

Imparare ad Amare

Domanda: Giù le maschere!? Sembra facile a dirsi ma in che modo? Qual è il primo passo per imparare a gettarle?
natyan: In primo luogo, la leggerezza di essere se stessi, bisogna precisare per non illudere nessuno, è un’utopia per tutti noi. Sul posto di lavoro non puoi essere te stesso e tantomeno in società. Quello che però mi perplime è vedere così tanta gente indossare maschere sia in famiglia che nel tempo libero.
Perfino gli antichi greci lo sapevano; se ogni tanto non liberi le tue emozioni abbandonandoti a te stesso con naturalezza, l’accumulo di repressioni, causate da comportamenti autodistruttivi, ti porterà, bene che vada, alle psicosi di carattere mentale, fino a poter sfociare, nel peggiore dei casi, in malattie fisiche.
Da dove devo cominciare perciò? Famiglia e tempo libero, con delle vere e sane amicizie, dovrebbero essere quei luoghi di naturale autenticità nei quali potersi esprimere e condividersi senza timore di giudizi e condanne.
Jung, il noto psichiatra contemporaneo nonché allievo di Freud, chiamava ombre quei “difetti” che in noi non ci piacciono ed era perfettamente convinto che non li amiamo, non tanto perché li reputiamo naturalmente sbagliati, ma perché la società li evidenzia come peccaminosi in assoluto.
Come possiamo quindi difenderci da qualcosa di tanto innaturale?
E per innaturale mi riferisco all'ossessione del peccato, non il peccato stesso.
La libido, per esempio, sosteneva sempre Jung nel suo “Libro Rosso”, non è qualcosa di meramente sessuale, ma ha una visione prospettica, orientativa, e un carattere creativo. La nostra società ci ha cresciuto nella cultura del sospetto, lasciandoci nell’incertezza più totale, senza più capire se quel che facciamo è bene o male, e il sospetto, si sa, è, a livello psicologico, molto più efficace dell’evidenza nel renderci strappati interiormente.
Ci hanno educato a credere che sia possibile vivere, e ancor peggio dovremmo essere costretti a farlo, senza minimamente commettere peccati.
Ma che cosa sono i peccati in verità? Sono tutti quegli istinti naturali programmati nel nostro cervello da milioni di anni e contro i quali dovremmo combattere per poter vivere in armonia in società. Per dirla con un paradosso, il peccato, quindi il cosiddetto male secondo la nostra cultura, non è altro che il bene maggiore che abbiamo posseduto fin dall’origine dei tempi per far si che oggi la nostra razza potesse essere ancora esistente ai giorni nostri.
Si tratta, perciò, non tanto di demolire le nostre “ombre” quanto invece riconoscerle come un bene primario che ci è stato indispensabile per milioni di anni ma che oggi, dovendole reprimere , contro la nostra stessa volontà, sembrano essere la causa primaria di tutti i nostri disagi, anche se, così non è.
Immagina di essere un bambino di pochi anni. Sei semplice, sei naturale, sei spontaneo, leggero e pieno di entusiasmo. Ogni cosa che fai è per te la cosa più naturale del mondo. Non muovi giudizi o condanne nei confronti di quel che dici o pensi. Il tuo fantasticare è completamente  e totalmente fluido e senza ostacoli. Se devi giocare giochi. Se devi litigare litighi. Se hai fame chiedi da mangiare e se hai sete chiedi naturalmente da bere. Dopo aver litigato con un amichetto fai la pace come se niente fosse e dimentichi completamente l’accaduto. Se devi passare da un gioco ad un altro quel cambiamento è un’innovazione spontanea senza nessun attaccamento al passato, a ciò che hai lasciato andare. Se si presenta un generale, un papa, un avvocato, un ingegnere o un monaco, non hai peli sulla lingua e senza alcun timore reverenziale dici quello che pensi in tutta naturalezza. Per esempio ti potrebbe capitare di dire al papa e al monaco che sono vestiti con delle gonne come le donne, oppure di rimproverare all’avvocato, all’ingegnere o al generale che sono degli sciocchi se non hanno capito in che modo funziona il tuo giocattolo. Non reprimi niente quando sei bambino, non devi fare buon viso a cattivo gioco perché tutti sono disposti a sopportarti: “Parla così perché è un bambino!” diranno i genitori, i familiari o i vicini di casa, anzi, magari aggiungeranno anche: “Hai visto com’è sveglio!?
Ma se prima ti ammiravano per la tua intelligente e naturale schiettezza, mano a mano che crescerai ti metteranno un bel sacco vuoto sulle spalle. Un sacco simbolico ovviamente, è solo un’allegoria, ma incominceranno col dirti: “Questo non si può! E sarà come un sasso, il primo sasso, che dovrai mettere nel sacco sulle tue spalle. Poi continueranno “Non si può neanche quest’altro!” Un’altra bella pietra, “Questo non si dice!” Un altro sassolone sulle tue spalle, “A tavola non si sta così!” E il sacco intanto si riempie e diventa più pesante. “Non farti vedere in pubblico a fare certe cose! Non dire sempre quello che pensi! Non devi vestirti così! Ma non vorrai presentarti a quella riunione in quel modo?!” E arriverai ad una certa età (tutto dipenderà molto dalle condizioni del tuo sistema nervoso) senza poter fare a meno di rivolgerti ad uno psicologo, a un amico o ad un guru per dirgli: “Ho un gran peso sulle spalle e non riesco a capire perché”.
Non si possono togliere tutte le maschere in un colpo solo e non è nemmeno conveniente, ma abbiamo bisogno di amici veri, un piccolo gruppo o una famiglia che sappia accettarci per quello che siamo senza dover esageratamente costringerci in assuefazioni innaturali e altamente disgreganti in relazione alla nostra intimità più profonda.
Questo non vuol dire che dovremmo essere così liberi da diventare nocivi per la nostra famiglia o per i nostri amici, più semplicemente vuol dire che dovremmo avere la possibilità di aprirci liberamente, di condividere apertamente quello che viviamo e sentiamo dentro, di confrontarci serenamente specchiandoci nelle nostre virtù ma anche in quello che gli altri ritengono essere i nostri difetti o i nostri peccati, in modo tale da non dover reprimere e comprimere la natura che da secoli dentro di noi esige espandersi in maniera fluida e scorrevole.
Se ogni individuo avesse potuto, da sempre, aprirsi liberamente senza la paura di essere messo sul banco degli imputati, non sarebbero nati né preti, né confessori perché il confessionale sarebbe stato rappresentato dal Cuore di un amico sincero che ti mette una mano sulla spalla e che ti dice: "Hey, ma quello che stai provando dentro di te, si chiami esso rabbia o gelosia, invidia o superbia, desiderio sessuale o egoismo, vanità o narcisismo non è altro che un insieme di istinti naturali biologici che sono stati la forza preponderante  che ha permesso l'evoluzione dell'uomo, non ti crucciare troppo poiché non sei stato tu a sceglierli!"
Ma se desideri tenere le tue maschere affinché esse possano nascondere ciò che non ti piace, finirai anche per soffocare quelle forze naturali che, sentendosi combattute, inevitabilmente si rivolteranno contro di te.
Un giorno un tale mi disse: "Sto malissimo! Mi sento in colpa! Ho dei rimorsi di coscienza che non mi fanno nemmeno dormire di notte!"
Gli domandai cosa mai fosse successo di così grave e lui mi rispose: "Ho un suocero a cui ho voluto sempre molto bene. E' malato da tanto tempo, quasi tre anni. Non ragiona più, non si muove quasi più dal letto e deve essere supportato in tutto e per tutto. Deve essere alimentato e portato in bagno quando ne ha bisogno, se non addirittura completamente cambiato e lavato quando non si accorge delle sue necessità corporali. Aiuto mia moglie con tenerezza e con passione accettando anche che il suocero viva in casa nostra. Ogni tanto, però, mi vengono dei pensieri terribili, vergognosi, che cerco di rifiutare con tutte le mie forze ma che all'improvviso, quando meno me lo aspetto, mi saltano addosso come lupi famelici costantemente in agguato".
Quel signore non arrivava al sodo, si vergognava così tanto di se stesso che cercava di tirarla alla lunga nella paura di confessare i suoi sentimenti che reputava alquanto negativi, così decisi di aiutarlo con un' ulteriore domanda anche se avevo già capito tutto: "Ma lo sai che davvero non ci sto capendo niente? Cosa esattamente ti tormenta? Che cosa, più precisamente, è talmente terribile e vergognoso?"
Mi rispose a testa bassa, con la rabbia di chi odia se stesso e con i pugni chiusi come a voler prendere la forza di parlare: "Mi capita, e Dio solo sa quanto non vorrei che capitasse, che in certi momenti io desideri la sua morte, ma ti prego cerca di capirmi, non è solo per sentirmi liberato dai sacrifici che sto facendo per supportare mia moglie e suo padre, ma perché vedo che la sua vita è diventata solo uno strazio anche per lui, che non connette più, che urla e bestemmia anche se gli stai facendo del bene, e non perché è cattivo ma proprio perché capisco che il suo cervello ormai è fritto, mi capisci?
Certamente non arriverei mai ad ucciderlo ma desiderare la sua morte, anche se solo in alcuni momenti, non è forse terribilmente vergognoso? E' come se dentro di me ci fosse un assassino virtuale, un boia che magari non agisce solo perché ha paura, chi lo sa? Non capisco più nemmeno io chi sono veramente. Credevo di essere una brava persona, rispettabile e rispettata dalla gente, ma se solo vedessero quello che mi passa dentro in quei momenti cosa penserebbero di me? E qualunque schifezza penserebbero, ne sono conscio, avrebbero anche ragione! Come si può desiderare la morte di qualcuno solo perché è ammalato?"
Finito il suo sfogo gli misi una mano sulla spalla e gli dissi di sedersi tranquillamente perché avrei risolto il suo problema in men che non si dica. Mi guardò esterrefatto e già mi parve di poter leggere i suoi pensieri: "Ma come?!  Non sei forse tu quello che ha sempre detto che le bacchette magiche non esistono?" Ma in questo caso non avevo certo bisogno di Harry Potter poiché si trattava del problema più elementare del mondo e se pareva irrisolvibile era solo per il solito eterno dilemma; non conosciamo veramente noi stessi.
"Amico mio", gli dissi "hai mai sentito parlare di omeostasi?" Dai suoi occhi stralunati capii che per lui era un argomento nuovo perciò proseguii: "Il nostro cervello è più intelligente di quanto a noi possa sembrare. Contiene in se stesso le leggi del suo equilibrio. Quando nella nostra vita avviene un cambiamento esso mette in moto un meccanismo, chiamato comunemente disagio, poiché si sta sforzando di applicare nuove strategie per mettersi in sintonia con quel che di nuovo è accaduto. Se passiamo da un ambiente caldo ad uno freddo, per esempio, incominceremo a tremare. Pensi forse che quel tremore sia una stupida reazione del tuo sistema nervoso? Certamente no! E' il tuo cervello che ha messo in moto un meccanismo intelligente per poterti far capire che è bene che tu ti copra se non vuoi beccarti un accidente. Ci sono cambiamenti che il cervello riconosce come amici ed altri invece come nemici dai quali fuggire o affrontare con coraggio. Le innovazioni amiche vengono accolte con uno sprigionamento di endorfine del buonumore. In questo caso la nostra massa cerebrale non avverte nessun pericolo per cui può allegramente divertirsi.
Ci sono avvenimenti invece che possono essere estremamente pericolosi per la nostra salute fisica e mentale per cui la psiche, anziché fare festa mettendosi a ballare, sprigiona quelle sostanze adrenaliniche che provocano in noi un senso di disagio. Quello stesso disagio, però, è inizialmente fondamentalmente un amico. Come nel caso del tremore dovuto al freddo (tremiamo anche quando siamo in uno stato ansioso, non è vero?) la nostra psiche ci sta chiedendo di metterci sull'attenti, di stare all'erta, di essere pronti a combattere, di modo che, avvisandoci per tempo, non veniamo colti impreparati. In poche parole il nostro cervello è alla continua ricerca di un equilibrio interiore e si mette più velocemente in moto ogni volta che accade qualcosa di diverso nell'ambiente in cui viviamo. In pratica digerisce pensieri e reazioni istintive tanto quanto il tuo stomaco digerisce quello che mangia. E dimmi amico mio, puoi sentirti in colpa se dopo aver mangiato un bel piatto di cipolle fai un grosso rutto che non ha certo il profumo delle fragole? Perciò, i tuoi pensieri assassini non sono quello che tu sei veramente, bensì un naturale processo digestivo del cervello che è alla ricerca di una soluzione in merito ad un problema che potrebbe essere gravoso e pericoloso per la tua salute psichica e corporea. Non sei tu che desideri ammazzare tuo suocero. La tua psiche, programmata da milioni di anni per evolversi nel tempo, senza che ci sia un ordine o un comando da parte tua, va subito alla ricerca di un rimedio qualsiasi ad un tormento che può essere più o meno importante. Chiaramente se tuo suocero morisse finirebbero anche tutti i sacrifici che tu e tua moglie state sopportando. Non solo, finirebbe anche lo strazio del padre di tua moglie, se se ne andasse beatamente in cielo. Per cui il cervello, senza che tu lo decida e nemmeno che lo voglia, sta soltanto digerendo una delle possibili soluzioni. Tu chi sei? Sei quello che osserva la digestione della tua psiche. Sei quello che osserva la possibile soluzione che la mente, attraverso il suo processo di omeostasi, da sempre, propone in situazioni simili e con cui tutti, prima o poi, dobbiamo averci a che fare. Certo mi preoccuperei, se fossi in te, se prendessi seriamente in esame di sparare una fucilata a tuo suocero, perché ciò vorrebbe dire che, anziché accogliere il disagio della tua mente come un fattore preventivo, hai finito per soccombere lasciandoti travolgere dalla soluzione più estrema. Si tratta invece di mettersi seduti tranquilli, come ti ho fatto fare io adesso, e, placando il disagio interiore, ascoltare quella parte cerebrale razionale che ha qualcosa da proporti in alternativa ai neuroni dell'istinto di conservazione che stanno confabulando tra di loro. Intelligentemente, attraverso quei pensieri sei stato avvertito. E' come se ti avessero detto: "Hey, fatti aiutare un po' di più, da soli tu e tua moglie non ce la potete fare, prendete qualcuno che vi supporti, che vi aiuti, che vi permetta di fare delle pause per potervi meglio rigenerare dopo ogni sacrificio; ma tu, sopraffatto dall'educazione religiosa ricevuta, hai subito pensato di essere un verme e io non vado neanche a pesca quindi non mi servi, stai tranquillo. Ti sei dato da solo dell'assassino perché sei stato cresciuto nella cultura del peccato e della condanna, ma siamo nel terzo millennio e più che affidarci ai preti, per certe risposte, forse è meglio affidarsi alle scoperte della biologia e delle neuroscienze. Non sei un assassino! Sei uno che, come tutti, ha un cervello che digerisce possibili soluzioni e che, se non ti affretti a vagliarle tutte e a scegliere quella che meglio si confà al benessere generale di ognuno, finirai per soccombere e per diventare uno squilibrato mentale.  Quindi, non l'assassino che c'è in te ti sta facendo perdere l'equilibrio, bensì il tuo stesso vergognarti di te stesso, senza fermarti a valutare con serenità quello che dentro di te sta accadendo".
Ecco qua! In che modo, quindi, gettare le maschere?
Buttando via prima di tutto quello che non siamo e che crediamo di essere.
Per anni abbiamo dato la nostra psiche in mano agli altri; ma ora abbiamo la possibilità e la grande opportunità di poter diventare un pochino gli analisti di noi stessi, solo che per fare ciò dovremmo dedicare un po' più di tempo per meditare ed osservare con naturalezza i nostri pensieri, senza giudizio, senza condanna, ma solamente per quello che sono, cercando di scoprirne la radice.
Se non conosciamo noi stessi, se non Amiamo tutto quello che siamo, come potremo Amare qualcun altro? Lo giudicheremo e lo condanneremo così come facciamo con noi stessi.
Quel signore era terrorizzato dai suoi pensieri, ma, non conoscendo il processo di omeostasi della mente, credeva di essere lui l'artefice del suo pensare.
L'egoismo è un'altra cosa, gli assassini veri sono altri.
Vi racconterò una storia.
Un giovane contadino, vedendo che il padre, ormai anziano, era diventato inutile e incapace, decise di liberarsene. Prese del legno e costruì una bella bara. Ci mise dentro il padre ancora vivo, la chiuse per benino e la portò in cima ad un dirupo.
Stava per buttarla di sotto, quando sentì la voce del padre: "Aspetta! Aspetta un solo attimo figlio mio! Apri questa bara, ti devo dire una cosa importante!" Il giovane, seppure un po' seccato, ubbidì. Il padre allora continuò: "Il legno di questa bara è molto pregiato, perché rovinarlo buttandolo giù da questo monte? Butta me, se lo vuoi fare. Butta solo il mio corpo. Conserva il legno. Un giorno potrà tornare utile... magari... a tuo figlio!".

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